lunedì 27 febbraio 2012

La fac est fermée




FRA

J’imagine un dialogue comment ça:
« Bonjour, nous sommes un groupe d'étudiants qui voudrions faire un cible des conférences de la durée de deux jours atour l'État d’Israël et la Palestine »
« Bien sur, pas des soucis. La thématique c'est un peu chaude, mais nous sommes une université ouverte formatrice d'une pensée critique : vous nous donnez le programme et nous donnerons vous les salles » on passant des jours...
« Désolé garçons : n'est plus possible de faire l'événement dans les bâtiments de la fac. Nous vous donnons les contacts d'une autre structure. La Bourse de Saint Denis »
« Mais ... »
« Vous n'enquêtez pas. Tout est déjà prêt. La liberté d'expression c'est importante pour nous : il faut tenir votre conférence »
« Mais nous voulons la faire à la fac, pas à la bourse »
« Désolé : n'est pas possible »
« Et si nous prenons également les salles et on va la faire ?
« Alors nous allons arrêter l'université pour touts les temps de la conférence, aussi personne peux entrer : ni le personnel, ni les étudiants, ni vous.

Semble un dialogue du théâtre de l’absurde, mais c'est qui sorte da la lecture du communique de presse de Paris 8, où on explique que en raison de « l'ordre public » la fac est obligée à la fermeture administrative du campus.

Aujourd’hui un petit rassemblement c'est passé devant les portes fermées : la raison officielle des dangereuses «  risques de troubles à l’ordre public ». À se retrouve les étudiants organisateurs de la conférence et les surpris étudiants ignorants de la fermeture improvise : visages tranquilles, des jeunes étudiants blancs et bourgeoises avec la passion pour la politique. Pas des intégralités islamiques ou des 'infiltrés d'Hamas. Au mégaphone ils condamnent forcement la fermeture, ils parlent de censure et diffusent par affiche leur communique de presse et le programme de la dangereuse conférence.

Un jeun du NPA m'explique que la fac a reçu des fortes pressions externes, sur tout par le Crif, une plus puissante organisation juive du France très liée à l’extrême droite israélienne.

Sur le site ils revendiquent la fermeture, titrent « Non au Boycott ! » la bien réussi empêchement de la conférence dans la fac, au prix de la fermeture de la même.

Qui boycotte qui ?


ITA

Immaginiamoci un dialogo del genere...
“Buongiorno, siamo un gruppo di studenti che vorrebbero fare un ciclo due giornate di conferenza sullo stato d'Israele e la questione palestinese.”
“Sicuro, nessuno problema. Il tema è un po' scomodo, ma la nostra è un università aperta e formatrice di un pensiero critico: dateci il programma e vi daremo le sale”
Passa qualche giorno.
“Mi dispiace ragazzi: non potete più fare il vostro evento nei locali dell'università. Vi mettiamo però in contatto con un'altra struttura. La Bourse de Saint-Denis.”
“Ma...”
“Non preoccupatevi. Già tutto organizzato. Per noi è importante la libertà di espressione: la vostra conferenza va fatta.”
“Ma noi vogliamo tenerla all'università, non alla bourse”.
“Ci dispiace, ma non è possibile”
“E se noi ci prendessimo comunque le aule e la facessimo ugualmente?”
“Allora noi fermiamo l'università per tutto il periodo della conferenza, così non entra più nessuno: né personale, né studenti, né tanto meno voi.”

Sembra un dialogo da teatro dell'assurdo, invece è quello che viene fuori dalla lettura del comunicato dell'università di Paris8, dove spiega che per “motivi di ordine pubblico” si vede costretta alla chiusura amministrativa di tutto il campus.

Oggi si è tenuto un piccolo presidio davanti ai cancelli sbarrati: il motivo ufficiale delle tanto temute “turbative dell'ordine pubblico”. A ritrovarsi c'erano gli studenti organizzatori della conferenza e studenti sorpresi e ignari della chiusura improvvisa: facce pulite, da giovani studenti bianchi e borghesi con la passione per la politica. Nessun integralista islamico o infiltrati di Hamas. Al megafono condannano vivamente la chiusura, parlano di censura e diffondono tramite volantino il loro comunicato e il programma della tanto pericolosa conferenza.

Un giovane nell'Npa, un piccolo partito dell'estrema sinistra francese, mi spiega che l'università ha ricevuto pressioni esterne molto pesanti, soprattutto dal Crif, una delle maggiori organizzazioni ebraiche francesi e che riunisce le frange più radicali della destra israeliana.

Sul loro sito rivendicano questa chiusura, titolando con “No al boicottaggio” il riuscito impedimento della conferenza all'università anche a costo della chiusura della stessa.

Chi boicotta chi?


giovedì 9 febbraio 2012

Ci aspetta una notte illuminata a giorno dal fuoco di mille molotov

Il 15 febbraio sarà disponibile su amazon e lulu uno dei romanzi più brucianti scritti di recente: A Riot Of My Own.

Gli autori sono Stefano Dorigo, un giovane studente da poco trasferitosi a Parigi, e Pantaleo Elicio, un veterano dell'Autonomia Operaia di Milano.

Ecco qui un "trailer" con i momenti migliori di questa infuocata opera.



Devo essermi perso, in un sonno senza sogni.
Li ho semplicemente chiusi. Gli occhi. Senza accorgermene. Accompagnando il battito del mio cuore al ritmo, intermittente, di quello del treno. Un dondolio meccanico, che appena si è arrestato mi ha riportato alla realtà. Ma siamo già qui?
Il treno è già a Chambery?

Ultima stazione. Prima di oltrepassare le Alpi e arrivare in Italia.
Finalmente potrò rivedere questo splendido paesaggio, dall’altra parte delle montagne. Per quanto tempo mi è stata preclusa la vista del versante Italiano?

Condannato una prima volta a sette anni e mezzo, con l’aggravante del “terrorismo”. Hanno così potuto utilizzare il moltiplicatore di pena del “2,5”: se ti becchi 3 anni te li moltiplicano per 2,5 cosicché alla fine prendi 7 anni e mezzo. Dopo altri nove anni dalla sentenza mi affibbiano un’altra condanna per gli stessi tipi di reato, con con l’applicazione di nove mesi in “reato continuato” … Dopo appena ventitré anni posso finalmente andare in estinzione di pena.
Ventitré.

Quasi la stessa età di quando ero partito.
Ed a me è andata bene. Nei confronti di altri, considerati più importanti, sono stati più incisivi e le condanne sono ancora in atto. Una montatura giuridica estesa a centinaia e centinaia di persone. Ha un che di magistrale questa struttura repressiva: carcerazione preventiva a 11 anni, il moltiplicatore 2,5 per l’aggravante “terrorismo” … poi i processi che continuano condannando per gli stessi “reati” più volte, moltiplicando potenzialmente la pena all’infinito.
Mostruoso, nel senso originale del termine.

Lo Stato “democratico” che per tutelarsi promulga leggi d’eccezione applicabili a vita. Norme studiate per violare i diritti più elementari dei propri cittadini ... Ma a detta loro non eravamo cittadini italiani. E non lo siamo ancora ...
Per noi è ancora impossibile esprimerci su quanto è accaduto. In quanto condannati, non ne abbiamo il diritto.
Machiavellicamente. Un capolavoro.
Ma io. Noi. Siamo ancora qui a raccontarcela. Mentre buona parte dei nostri accusatori di un tempo sono stati divorati. Annientati. Da scandali di bassa umanità che non hanno saputo gestire. Si credevano intelligenti e raffinati, perché avevano avuto i sopravvento su una gioventù geniale e creativa, ma erano solo dei vecchi viziosi e rozzi.
Nonostante. Tutto. Siamo qui.

Il corteo si era fermato davanti alla ex caserma dei carabinieri. Nessuno usava più quello stabile da anni. Abbandonato. Lasciato a se stesso.

Alcuni avevano fatto scudo attorno al portone di ingresso e acceso i fumogeni. Altri ragazzi, coperti dalle nubi colorate sprigionate da quei scintillanti tubi di plastica, si davano da fare con le cesoie. Pochi secondi e il portone di ingresso era aperto.

Nessuno dei ragazzi del quartiere voleva attendere.

Quello che reggeva il megafono provava a convincerli in ogni maniera.
Compagni, con calma porca miseria. Lasciate entrare per primi quelli che si devono accertare della sicurezza dello stabile.
Come se ce ne fosse stato bisogno. Tutti noi ci hanno fatto un giro almeno una volta lì dentro, a scavalcare i cancelli per fumarsi le prime sigarette di nascosto o per semplice curiosità. Già era pieno di scritte sui muri interni.
Calmi! Calmi! Non si può ancora entrare! Non si può ancora entrare!

Nessuno se lo filava troppo il megafono in quel momento. Finalmente potevamo entrare liberamente in quel posto. Di giorno. Alla luce del sole. Senza doverci più nascondere. Ci potevamo trovare tutti assieme in un luogo libero, senza essere costretti a pagare il dazio di un boccale di birra al barista di turno. La nostra nuova casa.
Il ragazzo del megafono, dopo una serie di bestemmie, aveva rinunciato all’impresa di lasciar gestire l’occupazione al solo comitato di quartiere. Tutto i giovani della zona in corteo adesso facevano comitato libero e spontaneo, entrando a centinaia dentro la vecchia casermetta.

Fottetevi! Fate come cazzo volete!
Imbronciato, si appoggiava al muro.

Ero corso dentro. Assieme a tutti. I miei occhi partiti a scrutare ogni direzione. A leggere ogni più piccola scritta, a osservare i più bei murales. Volevo cogliere ogni stimolo. Catturare ogni volto che passava là dentro. Quante belle ragazze che c’erano: era la prima volta che mi rendevo conto che erano così tante.

A impressionarmi più di tutti è stato un ragazzo. Alto, con un cespuglio di capelli corvini, tutto intento a scrivere una citazione sul muro. Pennarello in mano, aveva cura che ogni parola si potesse leggere al meglio.

Le uniche persone che per me esistono sono i pazzi, i pazzi di voglia di vivere, di parole, di salvezza, i pazzi del tutto e subito, quelli che non sbadigliano mai e non dicono mai banalità ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi d’artificio gialli che esplodono simili a ragni sopra le stelle e nel mezzo si vede scoppiare la luce azzurra e tutti fanno Oooooh!

Lui sta ancora osservando il sole che, a poco a poco, va ad immergersi in lontananza nel mare.
Sulla piatta e liscia tavola d’acqua, i riverberi di luce ricreano un’immagine allungata e frammentata del grosso globo arancione.

A giudicare dal piccolo sorriso di soddisfazione e dallo sguardo di pura e completa contemplazione, penso che non mi abbia sentito affatto.

Gli appoggio una mano sulla spalla.
Si volta e vedo in lui gli stessi occhi che hanno le persone che vengono risvegliate nel mezzo di un sogno armonioso.
Ehi … Sergio.
Sei dei nostri, Manu?

Come no. Ero solo un momento sovrappensiero.

Ti capisco. Grazie ancora per averci portato qui.
Ma di cosa? Grazie invece a voi tre per essere arrivati fino a qui. Sai piuttosto che pensavo? Con te qua, stavo realizzando che tutti quanti noi ne abbiamo passate davvero parecchie. Eravamo una generazione bellissima, forte, grintosa, con una gioia di vivere unica. E poi c’è stato tutto quello che è venuto dopo: la controrivoluzione, le leggi speciali, le carcerazioni preventive, l’esilio …

… si,abbiamo dovuto affrontare momenti davvero difficili. Ne parlavo anche con chi era rimasto a Milan. Però alla fine noi siamo rimasti e chi ci cacciava è stato travolto dalla storia. Anche se ormai tutto è stato lasciato nelle mani di una classe politica che è la più mediocre e reazionaria che la Repubblica abbia mai avuto.

Può essere che a posteriori abbiamo avuto il nostro riscatto personale, però … come posso dirlo? Non vorrei essere mal interpretato ... però ti chiedi mai se valeva fare tutto quello che abbiamo fatto, visto l’altissimo prezzo pagato?
Il suo sorriso si è trasformato in un cruccio dubbioso. Molte volte me la sono posta anche io quella domanda.
Ce l’hanno fatta pagare cara. Carissima. Ma allo stesso tempo credo che noi non potevamo agire in nessun’altra maniera, se non come abbiamo agito quella volta. Ma ti ricordi com’era prima che tutto cominciasse a trasformarsi, prima che le cose si cominciassero a muovere ? L’immobilismo più cupo, la mediocrità culturale, costumi conservatori che controllavano tutta la vita, con delle tradizioni a dir poco arcaiche...

Manu ripesca velocemente qualche immagine dalla memoria. Le discussioni fra la gente comune, le parole degli insegnanti, i programmi alla televisione, i discorsi dei sindacalisti. La vita dei giovani. Prima che tutto esplodesse.
Ma quale vita?

E dal punto di vista culturale: c’era il pensiero cattolico del partito di governo. Oppure quello rigorosamente legato alla classe operaia di quelli dell’opposizione, però altrettanto dottrinari quanto i primi. Niente trovava spazio al di fuori di questi due binari rigidamente controllati. Spazio ai giovani? Per loro i giovani dovevano stare a casa a studiare per diventare operai, impiegati, dirigenti … comunque ad attendere di essere inseriti nel sistema produttivo... Sfruttamento e noia: questo era quello che loro chiamavano vita.

Si continua a guardare verso il mare. Occhi secchi. Labbra screpolate. Per noi, pirati figli di pirati, penso che sia normale.
Hai ragione: non potevamo vivere altrimenti. Abbiamo tentato e ci eravamo quasi arrivati ad anticipare un mondo nuovo. La nostra percezione delle cose era così profonda, che rimettersi a vivere nella maniera tradizionale ci avrebbe uccisi, come ha ucciso tutti quelli che credono di essere liberi ma vivono in una delle più incredibili carceri. Niente avventura, nessuna invenzione della propria vita: un tranquillo e monotono ripetersi delle giornate fino al giorno in cui morirai. Vivere liberi é vivere senza padroni. Fare e poter fare in libertà quello che é meglio per te e per gli altri. Su questo non ho mai ammesso concessioni.

Ma poi, Manu, bisogna essere sinceri: la nostra storia ci ha portato anche a incontrare mille nuovi posti e persone. Io mi sento mille volte più forte e pieno d’esperienze, d’incontri di vita e di culture. Pur con tutte le difficoltà affrontate, solo per la gente che conosco, e per le cose che ho fatto, mi sento di dire con forza: cazzo se ne valeva la pena!

Intanto che si parlava, il sole è calato. La luna già proietta il suo riflesso sulla tavola d’acqua.


Noi ci siamo organizzati per partire da tre zone diverse della città, per poi convergere tutti assieme verso piazza Duomo.
Non sarebbe stato facile, e lo sapevamo. Il Comune non aveva alcuna intenzione di rovinare la festa dei suoi più ricchi e potenti elettori. Non eravamo i giovani e ribelli figli della borghesia. Eravamo sporcaccioni che con il loro bel mondo non c’entravano nulla. E mai avrebbero dovuto averci a che fare.

La prefettura aveva vietato ogni autorizzazione alle contestazioni, fuorché al presidio degli statalini.
Si preannunciava una notte illuminata a giorno dal fuoco di mille molotov.

Non me l’aspettavo una reazione così brutale della celere. Ho ancora il braccio fracassato da quel lacrimogeno lanciato ad altezza uomo che mi ha preso di striscio mentre scappavo. Ho il braccio che è tutto un livido: guarda quanto è gonfio! Quei bastardi non esitano a spararli ad altezza uomo quei candelotti. Me la sono fatto addosso quando mi è passato il secondo candelotto sotto il naso, per fortuna Riccardo mi ha tirato giù secco altrimenti mi avrebbe spaccato la mascella.

Più di tremila persone.
Stavamo entrando in Largo Cairoli.
Dal corteo il coro.
SU SU SU
I PREZZI VANNO SU
PRENDIAMOCI LA ROBA
E NON PAGHIAMO PIÙ
Quelle parole.

Urlate. Da migliaia di giovani. Suonavano. Come un’unica voce.
Le saracinesche dei bar. Si abbassavano.
I passanti. Non erano più solo. Curiosi.
Quelle parole.
Esproprio.
La piazza. Tutta per noi.
Ma non volevamo riappropriazioni. Materiali.
Volevamo.
La.
Scala.


Tutti insieme famo paura.
Gridava il corteo fino a qualche minuto prima. Accento romano e la rabbia di tutta Italia.

E alle 13.35 quel coro è stato applicato nella realtà.
Appena è arrivata la notizia – la fiducia - la manifestazione si era ammutolita.
150mila persone fluivano silenziose per le vie della capitale.
Si aspettava.
Il pretesto.
Il luogo.
Per sfogarsi
Far uscire.
Anni di vita e di governo. Di merda.

I passi rimbombavano. Rumorosi.
L’aria si caricava di una strana energia elettrica.
Nessuno voleva più stare con le mani. Vuote.
Fazzoletti. Sciarpe. Cappucci. Caschi.
Decoravano i volti.

Paolo mi si è avvicinato. Il braccio teso a reggere un fucile a pompa.
È già carico?

No, tieni queste.
Mi ha lanciato un pacchetto con una ventina di munizioni.
Mi ha fatto un ultimo cenno con lo sguardo. Un occhiolino. Prima di concentrarsi sul suo fucile.
Ho guardato Walter.
Lui ha guardato me.

Tutti in posizione! Forza!
I ragazzi si sono andati a schierare nei punti prestabiliti.
Gino si è messo alle mie spalle.

Sandro accanto a me afferrava il fucile a pompa, caricandoci dentro quante più munizioni possibile.
Gianni correva da una parte, Walter da quella opposta. Ognuno con appresso un borsone pieno di bocce riempite a polistirolo e benzina.

Tatanka e il Giglio. Fermi nelle auto. Pronti a partire in ogni necessità.
Walter ha dato un ultimo occhio all’orologio.

Ho caricato il primo colpo in canna. Il fucile a pompa lo tenevo saldo tra le mie mani.

Due stelle. Due bagliori di fuoco, partiti dalle mani di Gianni e Walter, hanno compiuto un rapido arco.


Dibattiti infiniti. Il discorso dei ruoli. Cos’è essere giovani. Cos’è essere donna, cosa essere gay … gli scazzi. Con i compagni. Quelli più ottusi. Mai che capissero che dare del “culo” fosse offensivo. Scoprire nella pratica quanto sia importante il fattore gioia nel discorso politico. Il personale è politico: la rivoluzione o si fa oggi o non si farà mai. I relitti.

Gli emmelle. L’ostinazione ad un percorso rigidamente tradizionale. A vicolo cieco. Classe operaia. Partito. Sindacato. Quando anche l’Italia non è più una società della penuria, ma anche lei è entrata a pieno titolo in quella dell’abbondanza. Il bisogno di spostare il discorso delle rivendicazione. Oltre al piano materialistico. Verso un piano che preveda anche i bisogni dello spirito. Ricerca di se stessi e del benessere filosofico morale spirituale. Magari senza le menate pseudo hippie pacifistoidi …

Giorni che valgono anni. Carichi di genuine ed ingenue contraddizioni. Che ti fanno vivere nel mondo in cui hai sempre sognato di vivere.

La silhuette perfetta, slanciata dalle scarpe col tacco, ricercate ma allo stesso tempo non appariscenti, fa intuire la sua piena coscienza della propria bellezza. Sa di esserlo. Sa che è bella, e che gli uomini la cercano perché lo è. Ma lei non vuole essere cercata solo per quello, vuole che qualcuno scopra quello che porta nella sua mente ed attua una rigida selezione a partire già dai modi. Se ti spaventano il suo distacco, la sua finta arroganza, allora lascia perdere.
Il tipetto timido-aggressivo a cui io non posso resistere.

Una buona bottiglia alle feste è un classico che funziona sempre, come regalare dei fiori a una ragazza.
Prendo mano a un bicchiere vuoto e mi avvicino alla misteriosa ragazza della finestra.
Vuoi assaggiarlo anche tu?

Sorrido, con discrezione. Lei sa dove voglio arrivare, ma devo dimostrare che almeno ci voglio un po’ giocare prima di arrivarci.

Grazie, ma non bevo vino rosso.

Il gioco comincia. La prima negazione.

Ma questo non è un vino rosso qualsiasi. Questo viene dalle cantine di Versailles: è il succo del Re Sole.

Insisto e bluffo. Fingo abitudine a gusti sofisticati, come se fosse per me normale portare a feste tra amici bottiglie di vino dai prezzi che sono un decimo della paga media. In realtà è il regalo di un amico che lavora in un’enoteca.
E va bene. Assaggiamolo allora. Tu com’è che ti chiami?

Gioca di anticipo. Mi piace.
Io sono Sergio.
Le porgo la mano.

Me la stringe. La sua è umida, ma calda.
Io sono Charline. Molto piacere. Oltre a occuparti di sovversione, fai anche altro nella vita?
Sorrido.

La sovversione l’ho dovuta lasciare a casa. Qui al massimo parlo un po’ con le persone.... Per adesso mi occupo delle relazioni con il personale in un’azienda di servizi per gli uffici. Praticamente gestisco i rapporti tra la direzione e i lavoratori. Cerco di modernizzare due settori...

E ti riesce bene?
Devo cercare di creare un buon clima di lavoro. Sembra che i collaboratori sono contenti di stare nell’azienda. Per ora le cose vanno bene.
Quindi è un sì.
Sembrerebbe. Tu invece cosa fai?
Ho interessi in vari campi.
Sempre così misteriosa?
Dipende.

E da che cosa dipende?
Dalla persona che ho davanti.
Devo interpretarlo come un segnale positivo.
Dipende …

Liza muove il suo corpo da favola a ritmo della musica. Che va sempre più veloce.
La sala è piena. Dall’ingresso, ci abbiamo messo dieci minuti per arrivare al nostro tavolino.
È il compleanno di Francesca. Non ci abbiamo messo molto a trovare un accordo con gli amici del locale per un prezzo di favore.

Io e Giulio ci mettiamo a ballare con Liza e Nina. Liza è irlandese, ha dei capelli rossi e ricci capaci di farti girare la testa. Per davvero. Ma ha un blocco dentro di sé che la rende inaccessibile. E tutti noi ci abbiamo pensato a lei.
All’improvviso smette di ballare. Si infila in mezzo alla folla. Sotto gli occhi. Ci scompare.
Oh, Giulio, ma dove è andata?

Va’ a sape’. Quella è pazza, ma mica per scherzo. Ma quanto è figa però. Avessi io la metà del cervello che ha lei.
Nemmeno 24 anni. E già è dottoranda in fisica.

Sproniamo Brigitte e Sarah, le sue compagne di corso, a unirsi alle danze.
Si balla. I ritmi elettronici ci aiutano nei movimenti. Fianchi. Braccia. Gambe.
È un attimo che ci si abbraccia. E che si torna a ballare con se stessi.
Le ragazze sono bellissime. Tutte. E noi abbiamo dato sfoggio del nostro meglio. Per essere all’altezza. Per essere di classe. A modo nostro. Come sempre.

Ritorna Liza. Con un vassoio. Pieno di shottini. Piccoli bicchieri colmi. Di una sostanza non precisata.
What’s that?
Absentium!

Nessuno si tira indietro. Si alzano i bicchieri. Un brindisi veloce e il liquore è subito giù.
Ottimo modo. Per iniziare una serata. Da leoni.
Liza mi stuzzica il naso, con la sua riccia treccia rossa. Mi fa l’occhiolino.
Let’s take a drink.

Deve urlarlo. La musica è troppo forte. Ma la seguo.
Antonio mi ferma.
Guarda che è irlandese.
E cosa vuoi che succeda?

VUAAAAAM!
Il fuoco si è diffuso su tutto il muro. Il poliestere si attaccava ovunque. La benzina di cui era bagnato alimentava le fiamme.

Tutti assieme. Abbiamo cominciato. A. Sparare.
Il rumore. Assordante. Cinque. Bocche di fuoco. Attaccate alle tue orecchie.
Sparavo forte. Veloce. Come se potessi così. Non sentire. Il frastuono.

In via Cusani i vetri. Si spaccavano.
Crash!
Le auto. Spinte verso il centro della carreggiata.
Unite con le catene. Si foravano le gomme.
Fiiiiiii.

VENITE BASTARDI!
Attendevamo. La loro carica. Boccia in una mano. Accendino nell’altra.
Esitavano.

Non volevano lo scontro. Fisico.
Non ancora.
Marco, una delle nostre staffette. In motorino. Ci aggiornava dalle altre zone.
Piazzale Loreto. Porta Romana. Piazza Argentina. Porta Ticinese.
LE CAMIONETTE. CI STANNO CIRCONDANDO.
Urlavamo. Il casino era troppo. Grande.
BAAAAM

Primi spari. Vetri in frantumi.
Saracinesce divelte.
Le fiamme. Danzavano. Sulle prime file di auto.
La vetrina alle mie spalle. Mille pezzi gioiosi.
Per pochi secondi. Costosi abiti da sera. Accessibili.
Un mostro di calore si alza. Arretro. Di qualche passo.
Seta pregiata. Costosissimo combustibile.
Uno dei mille roghi metropolitani.

Mi sono girato. Alla ricerca di un volto.
Solo occhi. Rapidi. Svegli. Giovani.
Nessun viso.
Fazzoletti. Passamontagna. Caschi.

ALLE BANCHE!
Nemmeno il tempo di dirla, la parola. Che ogni bancomat della zona è distrutto.
Ragazzine. Armate di pietre. O di qualcosa di robusto. Trovato per strada. Esprimono il loro dissenso sulle vetrine.
La polizia arretra. Si ritira in una strada laterale. Della piazza.
Ma i blindati sono circondati.

A tanti. Sono circolate per la mente. Le parole di una canzone.
un blindato è li, rimane in panne
è svuotato e dato in cibo alle fiamme
E brucia. Eccome se brucia, ragazzi!
Un fuoco di un arancione denso, sprigionato dal combustibile dell’autoblindo delle Fiamme Gialle.
Le moltitudini. Il boato. Appena lo vedono.
Gioia. Abbracci. Rivoluzione.
Qui gli facciamo il culo.


Ma adesso basta di andare avanti solo con i pezzi italiani. Amici della radio, ora vi mando in onda un pezzo che viene diretto da Londra. Questi sono i Clash che dedicano la canzone ai gesti più belli e liberatori che possiamo mai fare nelle nostre vite. Raccogliamo il loro appello: sempre!
Avete già capito di cosa parlo, vero?
La sentite la sirena che gira?
Vai vai vai
White riot…I wanna riot White riot…a riot of my own White Riot…I wanna riot White Riot… a riot of my own

Black people gotta lot of problems But they don't mind throwing a brick White people go to school Where they teach you how to be thick An'everybody's doing Just what they're told to An'nobody wants To go to jail!
E di motivi per incazzarsi ce ne sono sempre tanti. Quanti ne volete: non lasciamo solo agli emarginati più totali questa gioia. Condividiamo il motivo per incazzarci tutti assieme e oscuriamo il cielo con una pioggia di sanpietrini!
White riot…I wanna riot White riot…a riot of my own White Riot…I wanna riot White Riot… a riot of my own
All the power's in the hands Of people rich enough to buy it While we walk the street Too chicken to even try it Everybody's doing Just what they're told to Nobody wants To go to jail !

Il potere sta proprio qui davanti a noi. Non sta nella tua busta paga o in qualche lontano palazzo d’inverno. Sta nel vaffanculo all’autorità, nell’urlare “stronzate!” alle cose che leggi nei giornali o che ti insegnano a scuola. “Ubbidisci e vedrai che troviamo un buon lavoro anche per te.” Vaffanculo: ci avete già fregato troppe volte con questa storia. Troppi di noi sono senza lavoro, o con un lavoro di merda. Studiamo sì, ma per riprenderci la vita.
White riot…I wanna riot White riot…a riot of my own White Riot…I wanna riot White Riot… a riot of my own
Are you taking over Or are you taking orders ? Are you going backwards Or are you going forwards?
Niente ordini, grazie! Da nessuno! Solo condivisione: sempre in avanti!
White riot…I wanna riot White riot…a riot of my own White Riot…I wanna riot White Riot… a riot of my own


Mani giovani. Rapide e sicure. Fanno comparire una nuova scritta.
Sui muri di San Lorenzo.

la prima repubblica é morta
dopo aver vomitato leggi speciali
e repressione
la seconda muore oggi:
tutti i deputati hanno un prezzo


Lucia ascolta. Ma la sua attenzione è altrove. Mangia silenziosa il suo panino con la mortadella. La birra, quasi non l’ha bevuta.
Poi lo scorge. L’assemblea a scienze politiche è appena finita.
Simone è sul piazzale a fumarsi una sigaretta. Da solo.
L’intuizione.

Lucia li lascia a fare e disfare il racconto della giornata.
Domani si sarebbe riavvolta la matassa.
Un'altra assemblea.

Un altro giorno di splendida vita.
Stanotte lei avrebbe dato la sua vita all’amore.
Avrebbe fatto l’amore con addosso ancora il puzzo dei lacrimogeni. I vestiti sporchi del sudore delle corse. Delle cariche. Delle contro cariche.

Avrebbe fatto l’amore con ancora addosso la magia di questo unico giorno.
I suoi amici non fanno in tempo a richiamarla. Lucia è già fuori. Ha anche lei bisogno di fumarsi una sigaretta.