venerdì 23 dicembre 2011

Si muore un po’ per poter vivere

 La città è irrilevante.
Qui al nord. Meglio. Nel Nord Est, le piccole città sono tutte uguali a se stesse.
Soprattutto dai 100mila abitanti in giù.
Si ok, sono diverse tra loro per storia, cultura, tradizioni, ecc, ecc ma alla fine i comportamenti sono gli stessi.
Una cosa molto divertente è osservare come questi operosi conduttori di quello che un tempo fu la locomotiva dItalia, ormai non viaggino che depressi e lenti verso destinazione io-speriamo-che-me-la-cavo.
Il giro pre-natalizio per i negozi si è trasformato in un rituale fiacco e stanco: ormai effettivamente sono pochi quelli che possono permettersi di andare a spendere la paga nelle belle boutique del centro città. Il pranzo di Natale è a base di spesa allEurospin, il supermercato sovietico, i regali sono le offerte del Decathlon, le promozioni di Zara e gli sconti della Feltrinelli. Feltrinelli: qui la fnac non è ancora arrivata.
Probabilmente per molti di loro questa libreria in franchising è la cosa più di sinistra in cui si sono addentrati. E se ritenete la Feltrinelli di sinistra è il caso che vi facciate qualche seria domanda.
Soldi non girano, ma prima di tutto per gli abitanti di queste città è necessario salvare la faccia.
Persone che non vedi mai per tutto lanno e che incarnano i motivi per cui si è andati a vivere allestero ti invitano ad andare a messa a mezzanotte per poi andare a brindare. E lo sanno tutti che sei ateo e che in fondo, ma neppure troppo in fondo, della messa non gliene frega nulla neanche a loro.
Ma è questione di apparenza.
Come laperitivo, ridotto a un solo spritz, mentre si sfoggia un woolrich o un moncler che ha visto ormai troppe stagioni per poter essere ancora cool. Ma ancora troppo poche per diventare un pezzo vintage. Gli scarponcini timberland, mentre nel resto dEuropa li indossano gli hipster che sbeffeggiano i tamarri (e che il resto del mondo usa per picchiare forteforteforte hipster e tamarri), qui sono ancora un must tra i fighetti.
Non si esce vivi dagli anni 80, ma in avanzato stadio di putrefazione sì.
I giovani arrancano a sfoggiare uno stile di vita che non è il loro, mentre i genitori stanno a casa a prepararsi al peggio, sperando per il meglio. Quella cortina di ferro fatta di ipocrisia e perbenismo armato si sta pezzo dopo pezzo smontando davanti alle disillusioni di un popolo che è stato orgogliosamente leghista. Ma mai razzista, per carità!
E così si prepara la cena di Natale, per una volta in casa dai parenti e non fuori così fa più famiglia, sognando che i botti di capodanno raggiungano un'altra volta le lunghe dita di quelli di Equitalia. Meglio non dirlo ad alta voce, che non sta bene.
Ma si può sempre pensarlo molto forte.

Contro il logorio della vita moderna


Ho aperto questo blog perché avevo bisogno di uno spazio dove poter raccontare quanto avevo visto e vissuto in Valsusa.
Di blog già ne avevo, ma avevo bisogno di qualcosa di specifico, non legato alla mia persona, bensì alle esperienze. Volevo che le esperienze provate rivivessero collettivamente, in forma anonima, in modo che potessero appartenere a tutti. Chiunque poteva sentirsi libero di riconoscersi, o magari anche fare distinguo, distaccarsene poteva insomma fare quello che gli pareva con quellesperienza, senza avere una persona fisica a cui aggrapparsi. A cui rispondere. O perché no, anche attaccare.
Non che abbia la paranoia delle persecuzioni o che. Non sono sicuramente così tanto importante allinterno delle dinamiche di lotta anche solo cittadine (figurarsi europee!), anche se il mio nome è comparso associato a quel reportage su alcuni siti e non me ne vergogno. Semplicemente considero la mia figura irrilevante rispetto al vissuto.
Tutto questo può apparire come molto supponente e pretenzioso. Mi dispiace se vi do questa impressione.
A dire il vero non ho mai avuto le idee molto chiare di che fare di questo spazio dopo il reportage NoTav.
Gli avevo dato un nome che lo inquadrava abbastanza bene across the riots. Attraverso le rivolte. Credevo che qua ci avrei scritto le mie impressioni ai vari scontri a cui avrei preso parte, una sorta di guida routard dellinsurrezione.
Però già allesperienza del campeggio notav di fine luglio 2011, intuivo che riportare il casino che scoppiava ogni volta, ovunque esso si manifestasse, non diventava nientaltro che noiosa ripetizione dello stesso evento di cronaca, magari con qualche sfumatura e dato differente. Si ha cominciato qui. Hanno caricato lì. Un tizio si è trovato con la mascella spappolata. Ecc, ecc.
Yaaawnnn.
Non è sicuramente mia intenzione riempire la blogosfera di altri elementi che in fin dei conti sono poco diversi da una scritta A.C.A.B o fasci infami.
Quindi mi sono ritrovato con questo spazio vuoto fin da luglio.
Non che siano mancati i momenti di conflitto per carità! ma certi fenomeni è molto più interessanti viverli che descriverli. Come le storie di guerra che poteva raccontare il nonno prima che la memoria se ne andasse del tutto: avvincenti le prime due. Al quarto aneddoto continui a riempirgli il bicchiere perché si addormenti quanto prima.
Perché anche la rivoluzione rischia di diventare noiosa se è un solo narrarsi di momenti avvincenti.
Il divenire rivoluzionario la strada che porta al cambiamento, quello che alcuni chiamano anche insurrezione è anche terribilmente noioso, composto da momenti morti e quotidianamente ripetitivi. La scuola, luniversità, un inverno che non passa più in una città che giorno dopo giorno ti consuma e che tu non puoi non odiare, i soldi che non sono mai sufficienti, nemmeno per soddisfare i tuoi bisogni, figurarsi i desideri! Ma alla fine sono questi gli elementi che ti danno lo slancio, che ti fanno togliere la paura quando è arrivato il momento.
Il riot è anche questo.
È anche la noia e la frustrazione che ti hanno accompagnato fino al giorno della grande mobilitazione.
È anche la quotidiana ripetitività che svanisce quando ci si accorge che altri la condividono assieme a te e che per qualche ragione non ne possono più.
Si sono rotti i coglioni.
Il riot è lantidoto al grigiore quotidiano.